Garamond v Garamond, Physiology of a typeface

traduzione inglese di un post interessante pubblicato su Le monde
un'analisi e un confronto tra i vari Garamond
detto, fatto
ecco qui tutto il testo

segnalato nella lunghissima discussione Donna Lucrezia
andren

Grotesca Radio


Altro recupero di una famiglia vernacolare tipografica


andren


Murdoch l'ha fatta grossa


Tanto per capirci:
La rotativa di Rupert è uno stabilimento che occupa un'area equivalente a 23 campi di calcio, che è costruito con abbastanza acciaio per rifare da zero 2 torri Eiffel e che ogni anno spara fuori 330.000 tonnellate di giornali (Times, Sunday Times, The Sun e News of the World)

qui l'articolo del guardian
qui un video associato

Typeface from Ivrea…


Luciano mi segnala un bel progetto opensource per type designer.
Quello che potrebbe sembrare un divertente esercizio per studenti in realtà si propone per diventare un alfabeto aperto al contributo di tanti aspiranti tipografi.
Il punto di partenza è un carattere utilizzato in tante macchine da scrivere Olivetti che è stato digitalizzato da 6 studenti dell'Isia di Urbino (Luna Castroni, Stefano Faoro, Emilio Macchia, Elena Papassissa, Michela Povoleri, Tobias Seemiller) sotto la direzione dello stesso Perondi.
Ora il risultato, il Lekton, è un file .vfb (FontLab Studio) liberamente scaricabile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0 e chiunque voglia può dare il suo contributo per completare i glifi mancanti.
Avanti, fatevi sotto!

Qui, il blog che raccoglie gli step del percorso.

Vernacolo a Toronto

Joe Clark è conosciuto sopratutto per la sua libreria fotografica su Flickr: praticamente una raccolta infinita di esempi tipografici e di spunti progettuali.
Cercando di capire chi ci fosse dietro ad un impresa tanto encomiabile ho scoperto che si tratta di un instancabile giornalista e professore canadese che ha alle spalle più di 400 articoli dedicati alla tipografia, al suo utilizzo nell'ambiente quotidiano e alla sua accessibilità in diverse situazioni.

L'immagine qui sopra è tratta da un suo saggio sulla tipografia vernacolare che si incontra nella metropolitana di Toronto. Al di là della consueta critica ai nuovi lavori di ammodernamento delle stazioni e della segnaletica, è interessante il lavoro di ricerca e di scoperta del lavoro progettuale che c'è dietro al progetto del carattere originario: una sorta di Prestinée canadese.

Mappe vettoriali gratuite/2

La lista di cartine vettoriali continua…

Qui la prima puntata.

Sad Song

Germano Facetti


Ecco qui di seguito il testo dell'intervento tenuto dall'amico Gianluigi Ricuperati al convegno tenutosi a Torino nel settembre 2006 presso l'Istoreto
grazie

andren

Breve autobiografia di un libro appena concepito: l’archivio di Germano Facetti, le vite di Germano Facetti e una delle più straordinarie operazioni editoriali mai portate a termine. 

GIANLUIGI RICUPERATI


Il motivo per cui sono qua (ok – non sono qua, ma a volte la presenza è una funzione del testo, perciò: sono qua) è perché vorrei passare una parte della seconda metà del 2007 e della prima metà del 2008 a scrivere un libro addosso alla figura di Germano Facetti – anzi: addosso a quel lato della sua figura che viene celebrato in modo particolare qui oggi: l’archivio di immagini e documenti di violenza, di guerra, di morte in guerra e di Male storico. Il motivo per cui potrei reclamare qualche pallido titolo in una missione del genere è che nel 2006 ho pubblicato da Rizzoli un libro per immagini e testi chiamato Fucked Up che aveva al suo centro l’incredibile storia di Christopher Wilson, fondatore di un sito porno amatoriale cui i soldati americani di stanza in Iraq e Afghanistan hanno inviato migliaia di immagini scattate con i cellulari e le macchine digitali, costituendo così una delle più impressionanti registrazioni archivistiche istintive dell’idea e della pratica di guerra. Poi fra qualche mese uscità da Bollati Boringhieri una specie di memoir di nuovo per immagini e testi in cui racconto la strana esperienza di andare in Vietnam insieme a un artista, Amedeo Martegani, alla ricerca di fotografie, reperti, documenti, volantini e qualsivoglia altro detrito della guerra americana, ma di esclusiva matrice vietnamita – perché si trattava pur sempre dell’unico conflitto di cui il vincitore non aveva scritto la storia. Con la storia di Germano Facetti e del suo archivio, se gli eredi e le condizioni accidentali lo permetteranno, mi piacerebbe tracciare un terzo capitolo di una trilogia che risponde a una domanda tra le altre, una domanda che per qualche ragione mi ossessiona: che effetti hanno le guerre su coloro che non le combattono, su coloro che ne stanno lontani, geograficamente o temporalmente? Che effetti hanno le guerre sui figli e sui nipoti che non hanno ucciso?

Ora. Prima di provare a illustrare il come di questa impresa ancora embrionale ma già felice – e chi ha qualche dimestichezza con la fase nascente di una narrazione, romanzesca o non romanzesca che sia, conosce il timbro interiore cui faccio riferimento quando uso la parola ‘felice’ in questo contesto – ecco: prima, vorrei fare una breve digressione che ha a che fare con qualcosa che potrà sembrarvi addirittura spaventoso, come spesso sono spaventose le specularità appena scoperte: vorrei parlarvi dell’opera gemella dell’archivio di Germano Facetti. 


Un giorno di fine dicembre 2003, un lunedì mattina, a Manhattan, da St. Mark’s Bookshop,  mentre Paul Auster girava per i corridoi della libreria carico di romanzi gialli, ho usato gli ultimi 120 dollari del mio sesto viaggio a Ny per pagare in contanti un’opera intitolata Rising Up and Down di William T. Vollmann. 3.300 pagine di storie, riflessioni politiche e filosofiche, fotografie, indici e documenti - tutti ossessivamente incentrati su un unico tema, che potremmo definire con un po’ azzardo, il battere e levare della Violenza nella storia umana. Il cofanetto e i sette volumi in stile encicopledia Rizzoli-Larousse aveva titoli in similoro che recitano più o meno così: studi e conseguenze, il mondo musulmano; il nord america; giustificazioni alla difesa violenta della patria, degli animali, dell’ambiente; sud-est asiatico, africa; il calcolo morale. Insomma – un monumento al lavoro editoriale, alle possibilità della scrittura di indagare la realtà, di dare un ordine al magma, di dire qualcosa di autentico e parzialmente definitivo sulla natura umana - un oggetto delirante e insieme pieno di buon senso, innocente e non-innocente, ma soprattutto e principalmente delittuosa. Vollmann ha fatto una cosa che non si fa più: con ottime ragioni non si fa più e con ottime ragioni lui ha deciso di farla. Vollmann ha affrontato un argomento come un sistematore di saperi dell’età classica, o una specie di giornalista arcaico e cavalleresco, capace di mescolarsi con la materia di cui tratta senza alcun sussiego, senza cedere alla doppia tentazione che avrebbe reso tutto il lavoro irrilevante: quella di identificarsi completamente nell’attitudine dell’entomologo e quella di identificarsi completamente nell’attitudine della cimice. Ma di fronte a 3.300 pagine è meglio procedere con ordine, specialmente se vengono candidate a uno dei più prestigiosi premi letterari americani, il National Book Critics Circle Award, e riceve applausi un po’ attoniti da tutti i recensori.


William T. Vollmann è uno dei più importanti scrittori americani contemporanei, ed è anche un temibile grafomane – ha pubblicato saggi, reportage, romanzi spesso lunghissimi, e i suoi argomenti prediletti hanno sempre gravitato intorno al Grande Vertice dell’Esperienza, quello in cui incrociano i loro destini Prostitute, Tossici e Persone dotate di Armi. 

Di Rising Up and Rising Down si parlava da almeno dieci anni. Nelle riviste letterarie, i siti di fan, le newsletter e i discorsi dei cosiddetti addetti ai lavori – di tanto in tanto spuntava un frammento di quello che sembrava essere un mastodontico e fantomatico ‘lavoro’ sulla Violenza, un mostro senza capo né coda che tutti erano pronti a scommettere non sarebbe mai uscito: la mole, la mancanza di vendibilità, l’argomento, il profilo ‘alto’ dell’autore. Mandare Rising up and Rising Down nelle librerie normali era considerata un’impresa semplicemente folle, e nessun editore si sarebbe accollato i costi e il tempo di preparare per la stampa un elefante di carta di queste proporzioni. Il cinismo sociale imponeva a tutti di aggiungere commenti sprezzanti sulla ‘perdita di tempo’, su come ‘un talento narrativo andava sprecato’, su che senso avesse dedicarsi per tante stagioni della propria vita a un’opera senza mercato, senza lettori, senza utilità. Tutti si domandavano perché Vollmann non scriveva l’ennesimo romanzetto, l’ennesimo libro di non-fiction, l’ennesimo sforzo ragionevole. Dall’altra parte c’erano gli editori, che si dicevano pronti a ‘venire incontro’ a Rising Up and Rising Down se l’autore fosse ‘venuto incontro’ alle esigenze commerciali. Grazie alla saggezza di Vollmann, non è successo niente di simile – niente ‘venire incontro’, niente ‘esigenze’, e naturalmente niente editori. Le 3.300 pagine avrebbero continuato a rimanere nel cassetto – e la saggezza risiede nel sapere che il cassetto è l’ambiente in cui un’opera letteraria viene svezzata, impara a sopravvivere, conosce le regole fondamentali del sovraffollato habitat editoriale, cioè: un libro mette il naso là fuori e trova soprattutto poca aria, pochissima luce, spazio ridotto a zero. 

 La speranza di tutti gli scrittori davvero ambiziosi è che prima o poi incontreranno degli editori disposti a fare il loro mestiere, ossia sprecare denaro per rendere la vita pubblica un po’ più interessante. L’eroe, in questo caso, si chiama McSweeney’s Books, il braccio con cui l’omonima rivista fa il possibile per rendere la vita pubblica un po’ più interessante. Le cose sono andate come segue. McSweeney’s Books trasferisce il quartier generale a San Francisco, città natale di Vollmann. Sul numero 8 della rivista compare un estratto di Rising Up and Rising Down. Poi un giorno Dave Eggers, lo scrittore che poi in questo caso è anche l’editore, decide che è arrivato il momento di sprecare soldi. Incontra in un ristorante di San Francisco Vollmann insieme alla sua agente ed Eli Horowitz, giovane redattore della casa editrice, e insieme decidono che l’oggetto va partorito. 


Il volume più sottile di Rising Up and Rising Down conta 282 pagine, e contiene tutti gli indici, le introduzioni, gli schemi, le presentazioni, le bibliografie e i ringraziamenti. Ecco. Quando uno scrittore si mette a progettare un oggetto del genere, la prima cosa che fa è tracciare degli schemi – l’ultima è verificare se alla fine di tutto quegli schemi avevano senso. A questo punto bisognerebbe raccontare con una certa precisione la sostanza di cui è fatto Rising Up and Rising Down, che non è propriamente la sostanza di cui sono fatti i sogni. L’ispirazione è fornita dalla sostanza di cui è fatto l’uomo, si potrebbe riassumere: sopraffazione, strategia, controllo reciproco, sterminio, tortura; ma anche scrupolo, opportunità, aspirazione all’equilibrio, paura di rompere i patti di stabilità, e diciamolo – un oscuro desiderio di pace, dentro cui si nasconde un oscuro desiderio di guerra. Ma a questo punto bisognerebbe anche dire la verità: non si possono leggere per intero 3.300 pagine così, e com’è ovvio non sarebbe il modo migliore di affrontare Rising Up and Rising Down. Il modo migliore, forse, è entrare in ciascun volume con l’idea di trovarci qualcosa di necessario, qualcosa che si possa contenere in una frase o due – come le idee migliori. E lo si trova sempre, persino aprendolo a caso. 


 Il ‘calcolo morale’ è l’ossessione che governa l’intera immane fatica di William Vollmann. Subito dopo il frontespizio, una pagina bianca, una domanda in corsivo: quand’è che si può gisutificare la violenza? E’ l’inizio giusto. Il lettore capisce subito che non incontrerà consolazione – incontrerà soprattutto quella che un tempo si chiamava ‘ricerca della verità’. Vollmann costruisce una sorta di atlante morale della violenza, spostando l’asse della questione sull’idea di ‘difesa violenta’.  Portando all’attenzione del lettore casi singoli come quelli di Stalin, oppure scendendo venti secoli prima, nella Roma di Bruto, o prendendo in considerazione tutte le varianti in cui si riscontra la giustificabilità morale dell’uso della violenza, dalla difesa della terra alla difesa degli animali, dalla difesa della patria a quella della classe.

Gli altri volumi affrontano il tema sviscerandolo con passione e precisione quasi infantile. L’opera di Vollmann si divide in due parti. La prima occupa i primi quattro tomi, e si intitola significativamente ‘Categorie e Giustificazioni’. (In lavori come questo i titoli e i sottotitoli rivestono un’importanza particolare). Ogni tanto l’autore si ricorda di esssere un poeta, in qualche modo, e conia espressioni come ‘definizioni per atomi solitari’ subito prima di affrettarsi a spiegare che sta per illustrare ‘i diritti e le responsabilità del sé individuale’, e infilzare una serie di saggi sulla moralità e sull’estetica delle armi, sul rapporto tra fini e mezzi, sul concetto di autorità e di nuovo, in maniera ancora più approfondita, sulle numerose sfaccettature dell’idea di ‘difesa’. Arrivati al quarto volume Vollmann decide di allargare ulteriormente l’obiettivo della sua indagine e si occupa senza mezzi termini delle basi teoriche che regolano la ‘pratica violenta’ all’interno delle politiche degli stati nazionali e tra gli stati nazionali; poi lo restringe di nuovo alla sfera dei rapporti personali, cercando di dare un quadro del sadismo e del sadomasochismo nel sesso. E’ tutto molto interessante, e il merito di Vollmann è di non cedere mai troppo alle lusinghe dell’astrazione, fornendo sempre esempi nomi e dettagli – ma tutto finisce per suonare come un riassunto di venti secoli di filosofia morale, e di storia dell’umanità – scritti supremamente bene, peraltro.  

Ma è la seconda parte, chiamata ‘studi e conseguenze’ che attrae davvero l’attenzione, spostando il peso dell’opera su ciò che un narratore dovrebbe ricordarsi sempre di fare, anche quando si lancia nelle più spericolate avventure saggistiche, ovvero: raccontare. Vollmann qui raccoglie il frutto di anni e anni di reportage d’autore, e vediamo sfilare narrazioni dal vivo dalla Cambogia di Pol Pot alla vita dei cambogiani sopravvissuti in America, uno splendido ritratto collettivo della mafia giapponese, alcuni terribili affondi autobiografici dalla guerra in ex-Jugoslavia e dall’Africa – e infine quella che è probabilmente la vetta del libro, una lunga serie di pezzi da inviato speciale nel ‘Mondo Musulmano’, seguita dall’inevitabile ritorno in patria con tanto di pntatina persino sul massacro di Columbine e poi giù in Sudamerica, con i narcotrafficanti della Colombia. 


E così ho detto di Vollmann e del suo gigante. Ma scendendo di dimensioni e gradi - come potrebbe essere strutturato il libro che ho in mente su Germano Facetti?


Si tratta di costruire un libro a metà fra il reportage culturale, la narrazione biografica, l’investigazione saggistica, il documento storico-iconografico e la narrazione tout court. Raccontare e illustrare un inaspettato, singolarissimo capitolo della storia delle immagini che s’intreccia con una vicenda umana straordinaria, all’ombra di Mathausen, dell’Italia del boom e di tante altre traiettorie psichiche, geografiche, psico-geografiche, storiche e definitivamente individuali. Mi piacerebbe avesse un tono da scrittura narrativa partecipe e mobile – come i libri di George Plimpton, in cui molte voci di conoscenti e amici di un soggetto si alternano come in una ronde alla Max Ophuls, e l’autore si mette allo stesso livello degli altri, limitandosi a costruire piccoli steccati divisori strutturali, magari con titoli dickensiani del tipo ‘In cui il nostro personaggio, etc’. O meglio – questo lo faceva lui: ma in questo caso si potrebbe utilizzare la girandola di voci narranti perché nulla restituisce meglio la prismatica complessità delle figure prismatiche e complesse. Ma niente Dickens, dai. Piuttosto: una struttura a cassetti intercombinanti: interviste, storia orale, verifiche sul campo, analisi, momenti di ‘poesia storiografica’, racconto e note varie. E naturalmente devono esserci le fotografie. Bisogna trovare un modo che funzioni e abbia senso e originalità per inserirle in modo utile e efficace (anche esteticamente) all’interno di questa energica tragedia storica a semi-lieto fine. Un incubo ben riuscito. Un titolo, o un sottotitolo, potrebbe essere: collezionare è un trauma.


Non so ancora niente dell’archivio di Germano Facetti. Ne saprò poco anche dopo aver scritto il libro. In operazioni simili ci sono troppe angolazioni, troppi paesaggi, troppe ragioni esaminate, coinvolte, analizzate – troppi frammenti associati l’uno all’altro, in definitiva. Il rischio è di accorgersi che quasi sempre il calcolo morale subisce l’invadenza della passione, perfino di quella dell’autore stesso. Una certa passione estetizzante per il momento in cui il proiettile diventa espressione della volontà, il grilletto diventa espressione dell’istinto, il contraccolpo dell’arma si trasmette ai nervi come un rimorso di appartenenza. Ciò che turba è che come in una preghiera si possa arrivare a ringraziare la Sorella Violenza come l’ombra paterna e materna dell’evoluzione della Specie – l’unico calcolo morale il cui risultato dev’essere sempre diverso da zero. 


New York – Montréal  - Torino, settembre 2006 

Ever Meulen

Typomilan ha piacere di ospitare una bella recensione della mostra di Ever Meulen a Louven (Belgio).

di Teo Riva (Teoverycrock)

Ever Meulen, illustratore fiammingo, mette in mostra i propri lavori di quasi un quarantennio a Louven, cittadina sede delle principali università fiamminghe.
Riviste, vignette, manifesti, copertine di libri, dischi, piccoli modellini e animazioni, tutto esposto in questa piccola ed intima expo dove si possono anche ossevare gli schizzi preparatori e i carnet da viaggio dell'autore..

Nato nel 1946 nelle Fiandre occidentali, inizia la sua carriera negli anni '70 disegnando illustrazioni e caricature per riviste nazionali ed internazionali, fra cui spiccano i nomi di Humo, Tèlè-Moustique, Curiosity Magazine e The New Yorker.
Non mancano i viaggi per il mondo, in Italia disegna manifesti per la 1000 Miglia e per il Gp di Monza.
L'automobile è uno dei sue temi preferiti, un simbolo dell'epoca moderna a cui appartiene.
Non ha mai realizzato un proprio fumetto, ma si avvale del medesimo stile per decorare le copertine delle riviste, un mix di fumetto-illustrazione e naturalmente di tipografia, rigorosamente disegnata ad hoc per ogni copertina.



La mostra mette in esposizione come detto gli originali, dove non si può che osservare meravigliati la razionalità compositiva del disegno, ereditata probabilmente dai cugini olandesi, e la sinteticità esplicativa delle immagini, peculiarità della cultura fumettistica belga.
Il colore vivace e l'attenzione al dettaglio rimandano ad una storia figurativa che ama descrivere la realtà in questo modo, un'eredità lasciata secoli fa dai maestri del colore fiamminghi, che costringevano l'osservatore ad un gioco di ricerca del piccolo dettaglio nel dipinto.


Purtroppo la natura cartacea dei suoi lavori non consente di vedere gran che nel web, il suo lavoro rimane confinato nelle riviste e nei manifesti..
consiglio di vedere comunque il sito web dell'esposizione, qualcosa qui si intravede!

ps: Mi è sorto il dubbio se egli non sia il più grande ispiratore di Chris Ware..

L'antitempo


Finalmente esce L'antitempo
periodico di satire, beffe, disegni,vignette, enigmi, varietà, umorismi, prese male, ecc.
Per chi volesse partecipare non esitate a inviare materiale
grande Antitempo!

andren

La scarica dei 101

Altri caratteri, non più in offerta special, ma gratuiti.

Un nuovo elenco, perché io non riesco mai a trovarli quando ne ho bisogno…



grazie a Sally Thompson per la segnalazione.

andren

Questo è un affare!


Non perdete l'occasione di acquistare la vostra prima font a € 3,25 (5 dollari)!!!
Cadena Black è veramente un bel carattere, cicciottello e sexy!

Qui, esempi di utilizzo
Qui, il sito ufficiale

p.s per chi non si fidasse io ho inviato il pagamento ieri a mezzanotte e alle 4 (in pieno sonno) già ero in possesso dell'opentype!

A lezioni di infografica

Ho recentemente letto la gran bella intervista (in facile spagnolo) a Javier Zarracina, esperto progettista di infografiche ora direttore del reparto grafico del Boston Globe.
Sono tanti e preziosi i consigli sul come reperire informazioni, come affrontare con efficacia e tempismo il lavoro di equipe, su come rendere chiaro e utile il grafico. Mi è piaciuto in particolare il passaggio in cui definisce la curiosità come dote fondamentale per un disegnatore di infografiche:

Para mí, la cualidad fundamental es la curiosidad y el afán por entender y explicar. Si somos capaces de apasionarnos por una noticia, es posible que transmitamos parte de nuestro interés al lector. Las habilidades técnicas o facilidad de dibujo son útiles, pero su dominio sólo es una cuestión de práctica

Traduco liberamente:
Per me la qualità fondamentale è la curiosità e lo sforzo per capire e spiegare. Se siamo capaci ad appasionarci alla notizia, allora è possibile trasmettere parte del nostro interesse al lettore. Le abilità tecniche o la facilità di disegno sono utili, però il loro pieno possesso è puramente questione di pratica.

Dall'intervista emerge il grande desiderio di Javier di insegnare condividendo le sue esperienze lavorative. Proprio per questo motivo possiede un sito personale ricchissimo di lavori, riflessioni e metodologie di progettazione. Non perdetevelo!

Text of Steve Jobs' Commencement address




Sono onorato di essere qui con voi oggi alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per dire la verità, questa è la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.

La prima storia è sull'unire i puntini
Ho lasciato il Reed College dopo il primo semestre, ma poi ho continuato a frequentare in maniera ufficiosa per altri 18 mesi circa prima di lasciare veramente. Allora, perché ho mollato?
E' cominciato tutto prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa di college non sposata, e decise di lasciarmi in adozione. Riteneva con determinazione che avrei dovuto essere adottato da laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare fin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però quando arrivai io loro decisero all'ultimo minuto che avrebbero voluto adottare una bambina. Così quelli che poi sono diventati i miei genitori adottivi e che erano in lista d'attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: "C'è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete voi?" Loro risposero: "Certamente". Più tardi mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata al college e che mio padre non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare le ultime carte per l'adozione. Poi accetto di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college.
Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno altrettanto costoso di Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l'ammissione e i corsi. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta la loro vita. Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Era molto difficile all'epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell'attimo che mollai il college, potei anche smettere di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a capitare nelle classi che trovavo più interessanti.
Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio Hare Krishna: l'unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio.
Il Reed College all'epoca offriva probabilmente la miglior formazione del Paese relativamente alla calligrafia. Attraverso tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai dei caratteri serif e san serif, della differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, di che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era artistico, bello, storico e io ne fui assolutamente affascinato.
Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare una applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. E' stato il primo computer dotato di una meravigliosa capacità tipografica. Se non avessi mai lasciato il college e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i persona computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente all'epoca in cui ero al college era impossibile unire i puntini guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all'indietro.
Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all'indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa - il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita.

La mia seconda storia è a proposito dell'amore e della perdita
Sono stato fortunato: ho trovato molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Woz e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in 10 anni Apple è cresciuta da un'azienda con noi due e un garage in una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. L'anno prima avevamo appena realizzato la nostra migliore creazione - il Macintosh - e io avevo appena compiuto 30 anni, e in quel momento sono stato licenziato. Come si fa a venir licenziati dall'azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l'azienda insieme a me, e per il primo anno le cose sono andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il Board dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era andato e io ero devastato da questa cosa.
Non ho saputo davvero cosa fare per alcun imesi. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me - come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l'ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L'evolvere degli eventi con Apple non avevano cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.
Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creatvi della mia vita.
Durante i cinque anni successivi fondai un'azienda chiamata NeXT e poi un'altra azienda, chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più di successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell'attuale rinascimento di Apple. E Laurene e io abbiamo una meravigliosa famiglia.
Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. E' stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono convinto che l'unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l'amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l'unico modo per essere realimente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l'unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l'avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate a cercare sino a che non lo avrete trovato. Non vi accontentate.

La mia terza storia è a proposto della morte
Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: "Se vivrai ogni giorno come se fosse l'ultimo, sicuramente una volta avrai ragione". Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: "Se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?". E ogni qualvolta la risposta è "no" per troppi giorni di fila, capisco che c'è qualcosa che deve essere cambiato.
Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose - tutte le aspettative di eternità, tutto l'orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire - semplicemente svaniscono di fronte all'idea della morte, lasciando solo quello che c'è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c'è ragione per non seguire il vostro cuore.
Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la scansione alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi avresti avuto ancora dieci anni di tempo per dirglielo. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi "addio".
Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell'analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie - che era là - mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l'intervento chirurgico e adesso sto bene.
Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche la più vicina per qualche decennio. Essendoci passato attraverso posso parlarvi adesso con un po' più di cognizione di causa di quando la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi:
Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E anche che la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la Morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della Vita. E' l'agente di cambiamento della Vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico ma è la pura verità.
Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario.
Quando ero un ragazzo c'era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. E' stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci ha messo dentro tutto il suo tocco poetico. E' stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fato con macchine da scrivere, forbici e foto polaroid. E' stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.
Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell'ultima pagina del numero finale c'era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l'autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c'erano le parole: "Stay Hungry. Stay Foolish.", siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi.
Stay Hungry. Stay Foolish.
Grazie a tutti.

oppure seguitelo su youtube
andren

Font dingbats gratuite

Mi sono imbattuto in una bella classifica di font dingbats (di disegni) gratuite.
Io mi sono subito scaricato le prime due della classifica (utilissime per chi disegna infografiche) e le sagome femminili (che servono sempre in tavole di architettura).

1. Geobats

2. Birds of a Feather


13. Chicas y Mujeres

Thanks to bittbox

A Letterpress Community



Briar Press è una comunità di stampatori, amanti del libro e simpatizzanti. La community ha come scopo primo la conservazione degli strumenti che hanno caratterizzato tutti i secoli di stampa a impressione e l'arte della stampa nel suo significato più sublime.
Il resto è tutto nel loro sito, ricco di ornamenti e lettere ornate ridisegnate da vecchi specimen, alcune persino gratuite (sezione Cuts & Caps), una lista di Private Presses, pagine gialle e tutto quello che può servire per iniziare un viaggio e un approfondimento in un ambito e un fenomeno non poi così limitato e circoscritto.

andren

Blue Note




Nel jazz e nel blues una blue note è una nota corrispondente a uno dei gradi III, V e VII della scala maggiore abbassati di un semitono e suonata o cantata in maniera leggermente calante (quindi in definitiva abbassati più di un semitono teorico).

Il significato dell'aggettivo inglese blue, è connesso all'associazione tra il colore blu e un senso di nostalgia e tristezza tipico della musica afro-americana, così com'essa era percepita dall'orecchio di uditori europei abituato alla dicotomia maggiore-minore.L'origine della blue note è da ricercarsi nelle scale non temperate utilizzate dagli schiavi afro americani (in particolare la scala pentatonica), che dettero origine alla scala blues.

Queste note, utilizzate tipicamente in una cornice armonica di accordi maggiori, creano quell'atmosfera di indefinitezza tonale caratteristica del blues e della musica folk americana e inglese.

La Blue Note Records è una casa editrice discografica statunitense, specializzata in edizioni jazz, fondata nel 1939 da Alfred Lion e James Wolff, che ne furono proprietari e direttori per molti anni. Per la Blue Note incisero quasi tutti i nomi più importanti della scena jazz e non solo, soprattutto nei decenni 1950 e 1960.

Nel 1956, fu assunto dalla Blue Note Reid Miles, un artista che lavorava per l'Esquire. Le copertine prodotte da Miles, che spesso ritraevano fotografie di musicisti in studio, fatte da Wolff, influenzarono fortemente il mondo del design grafico musicale, diventando vere e proprie icone. Durante il periodo di Miles, la Blue Note era conosciuta per il design stilizzato e inusuale delle copertine dei CD. La grafica usata da Miles si distingueva per la tinta in bianco e nero delle fotografie, l'uso di un solo colore e l'utilizzo di forme geometriche.

Nonostante i lavori di Miles fossero frequentemente associati all'etichetta e raggiungessero in fretta lo stato di icone, venendo spesso omaggiate), Miles non era propriamente un appassionato di jazz; La casa discografica gli regalava diverse dozzine di copie degli album sui quali lavorava, ma Miles ne regalava gran parte agli amici o li vendeva nei negozi di dischi dell'usato.


buona visione.
andren

Brochure della Citroën


Ogni tanto, da qualche angolo sperduto della rete, saltano fuori piccole raccolte di manifesti, copertine, insegne che sono delle perle per chi lavora nel mondo della grafica e della comunicazione. L'ultima in ordine cronologico che ho trovato è una collezione di brochure della Citroën dagli anni '50 agli anni '80. Semplici, eleganti e molto efficaci hanno secondo me molto da insegnare all'odierno mondo della grafica commerciale che spessocade sulla banalità dei messaggi e su un eccesso di decorazioni.

C'è anche la mitica Mehari, tanto desiderata da Fabio Alisei…ahahah

Via The SERIF

I migliori libri svizzeri


Theredbox at DesignTalks
11 marzo 2008/March 11th, 2008, h. 18.30
Scuola Politecnica di Design, Milano
Via Ventura 15

theredbox, studio di comunicazione visiva di Lugano, è protagonista del secondo incontro di DesignTalks, il ciclo di conferenze organizzato dalla Scuola Politecnica di Design di Milano. Alberto Bianda, uno dei due soci fondatori, sarà ospite in SPD martedì 11 marzo alle 18.30. L'incontro, aperto al pubblico, sarà introdotto da Silvia Sfligiotti.
theredbox è stata fondata nel 2001 da Alberto Bianda e Paolo Jannuzzi. Lavora principalmente per una committenza artistica e culturale e istituzionale, per la quale progetta libri, manifesti, allestimenti di mostre, sistemi di identità. Tra i loro clienti, la Galleria del Gottardo, Benetton, le case editrici Federico Motta, Contrasto, Gabriele Capelli, Charta. I progetti di theredbox hanno ricevuto numerosi premi, tra i quali quelli per i migliori libri svizzeri nel 2002, 2003 e 2005, e due premi internazionali per il miglior libro fotografico.

I prossimi ospiti di DesignTalks saranno: Ales Najbrt in collaborazione con SUPSI (SPD 8 aprile, Supsi 9 aprile), Erik Kessels (SPD 28 maggio) e Norm (SPD 5 giugno).

theredbox, the swiss graphic design studio from Lugano, will be the second guest in the DesignTalks lecture series, organised by Scuola Politecnica di Design, Milano. Alberto Bianda, one of the two founding partners, will speak at the SPD on Tuesday, March 11th at 18.30. The lecture is open to the public and will be introduced by Silvia Sfligiotti.

theredbox was founded in 2001 by Alberto Bianda and Paolo Jannuzzi. They work mainly for clients from the art and cultural fields, as well as public institutions, designing books, posters, exhibitions, identity systems. Amongst their clients, Galleria del Gottardo, Benetton, publishers such as Federico Motta, Contrasto, Gabriele Capelli, Charta. Their projects have received several awards, such as the Best swiss books in 2002, 2003 and 2005, and two international awards for the best photography book.

The next DesignTalks guests will be: Ales Najbrt in collaboration with Supsi, Lugano (SPD April 8th, Supsi April 9th), Erik Kessels (SPD May 28th) e Norm (SPD June 5th)

informazioni / information:
Scuola Politecnica di Design SPD
via Ventura 15, 20134 Milano
MM2 Lambrate; tram 33; bus 54, 75
T +39 02 21597590 F +39 02 21597613
www.scuoladesign.com

Ghosts

Nuovo lavoro di Trent Reznor, mente braccio voce e anima dei nin.
Segue l'onda del successo dei Radiohead, per le scelte di non avere etichetta, di lasciare scaricare una versione ridotta dell'album, possibilità di scaricare i file sorgenti.
Belle le grafiche.
Interessante anche la font custom NIN Ghosts in versione light e light caps.
Chi sa da dove proviene?
Intanto consiglio il download e l'ascolto.
yo



Ecco qui alcune applicazioni di un web kit allegato all'album
che altro?
buon pomeriggio
andren

Questo non c'entra…

…ma lo posto comunque:

Tgcom, febbraio da record: 151 milioni le pagine viste
Primato assoluto al Gossip
Un nuovo record è stato registrato dalla sezione Gossip che ha totalizzato 22.828.431 pagine viste. Bene anche le sezioni Mondo e Televisione che hanno registrato rispettivamente 1.146.381 e 1.557.865 utenti unici.

È vero che da alcuni giornalisti ci si può attendere di tutto, ma gioire perché i lettori preferiscono (e non di poco) due chiappe di Vip ai propri articoli, mi sembra assurdo…



(Si ringrazia Lola Ponce per questo post)

Il Prestinée Sans è sull'Almanacco


Il Prestinée sans, ancora incompleto e lontano da essere un carattere tipografico finito, è stato però ospitato sul nuovo Almanacco/newsletter dello studio Ls Graphic Design. Questa sorta di collaborazione tra giovani grafici rampanti, è stata una bella occasione per conoscere i simpatici ragazzi di Ls e per spingermi a riprendere in mano il mio carattere tipografico per portarlo a compimento.





Dnews: un nuovo free-press


Altra novità nel mondo dei free-press in Italia. Dnews è la nuova testata voluta dai fratelli Cipriani (già creatori di ePolis) che da qualche giorno è in distribuzione in quattro città italiane: Milano, Roma, Bergamo, Verona. In rete non ci sono notizie sul progetto grafico, ma credo si tratti di un'altra opera di Cases. In effetti è una quotidiano ben disegnato, con una griglia piuttosto precisa e modulare e un gioco di tipografie insolito (Cases è solito alternare nei titoli e negli occhielli un font più fresco e geometrico a uno più classico ed elegante).
I primi numeri sono piuttosto ricchi di contenuti per essere un free-press e così anche le pagine risultano dense di scrittura e non ancora violentate dall'utilizzo massiccio di pubblicità.

Il sito, ancora in costruzione, dovrà dialogare molto con il quotidiano; per adesso presenta alcuni filmati che illustrano il progetto generale e dà la possibilità di sfogliare il pdf (è zoomabile? io non riesco…) basta un click!



Le pagelle della zia

Aiuti la zia a traslocare ed eccoti la pronta ricompensa: da un cassetto chiuso da decenni, spunta fuori una bella serie di pagelle delle elementari risalenti al Ventennio. A metà tra la grafica futurista e la pomposa propaganda fascista, queste copertine non sono dei capolavori di grafica e di tipografia, ma sono uniche per il fatto che ogni anno ha un suo preciso "design", con un suo chiaro messaggio comunicativo.
Qui la galleria completa su flickr.

colorblind web page filter

Il daltonismo consiste in una cecità ai colori, ovvero nell'inabilità a percepire i colori (del tutto o in parte).
È un difetto di natura prevalentemente genetica. Tuttavia, può insorgere anche in seguito a danni agli occhi, ai nervi o al cervello e persino in seguito all'esposizione ad alcuni composti chimici.
Fu il chimico inglese John Dalton a dare, nel 1794, una descrizione scientifica del daltonismo, pubblicando l'articolo intitolato "Extraordinary facts relating to the vision of colors" (fatti straordinari legati alla visione dei colori), dopo essersi reso conto della propria cecità cromatica. Il tipo di daltonismo di cui Dalton era affetto oggi prende il nome di deuteranopia.
Si definisce daltonica la persona che non riesce a distinguere colori di diversa lunghezza d'onda.
Se, ad esempio, si mostra ad un daltonico un disegno con un triangolo rosso su uno sfondo verde questi non riesce a distinguere la figura.
Benché venga generalmente considerata una disabilità, in alcune situazioni il daltonismo può rivelarsi vantaggioso; un cacciatore daltonico, ad esempio, può riuscire a distinguere meglio una preda mimetizzata su uno sfondo caotico; analogamente, un soldato daltonico può evitare di essere ingannato dai camuffamenti che, al contrario, traggono in inganno persone che hanno una normale visione del colore.
E un designer? E un normale utente daltonico che si scontra con il coloratissimo impalpabile mondo di Internet? - faccio sempre fatica a usare correttamente la parola Internet. 
Facile.
A questo indirizzo (http://colorfilter.wickline.org/) potrete testare qualsiasi sito, poster, immagine per averla a prova di daltonismo.
Si pensi che il 10% dei maschi dà segni di daltonismo; una percentuale anche maggiore può accusare alterazioni temporanee nella percezione del blu in condizioni variabili.
Per questo preferisco sempre lavorare con bianco e nero, e un terzo colore al massimo!

andren

real chips, real taste





eccole! trovate!
a dicembre mi trovavo a casa del buon gigi farrauto - la sua vecchia casa olandese - durante una festa natalizia organizzata dallo staff di prinseneiland 73d, quando mi scontrai con un bellissimo pacchetto di patatine, buonissime, oltretutto...
stupendo il nome composto in joanna, bellissimo il sacchetto
adesso so dove cercarle: www.realcrisps.com



Noooo ma che figata!



Mettete assieme qualche stringa di codice java e ajax, un plug-in per wordpress, un piccolo programmino per mac (e anche per win), un ottimo visualizzatore per contenitori di foto come Flickr, Picasa, Facebook ecc.. e avrete Piclens, un piccolo gioiello. E il bello che è tutto gratis! Stamattina l'ho installato come add-ons per Firefox e sono rimasto a bocca aperta sfogliando la mia libreria di flickr ad una velocità e con una facilità di navigazione stupende.
Da non perdere!!!!

Qui sotto la demo. Se poi volete inaugurarlo surfando nella mia libreria di foto, clicca qui.

Brixia: il bello dell'ironia

È caratteristica di tanti maestri del design e della grafica, quella di non essersi mai voluti prendere troppo sul serio…
Munari, Magistretti, Sottsass e tanti altri, hanno sempre trattato i loro progetti non come opere d'intelletto innavicinabili, ma come utili e fantasiose scoperte del vivere e del progettare.
Per questo motivo trovo doveroso mettere in evidenza, tra i tanti caratteri in mostra su Progetto Italic 2.0, il Brixia, bel carattere di Stefano Temporin, ancora in fase di ultimazione, ma che già regala delle belle sensazioni.



E poi la descrizione che ne fa l'autore è troppo divertente!

Il carattere Brixia nasce dopo un attento studio paleografico di alcune incisioni romane, ritrovate sui tavolacci delle osterie bresciane. Antenate di quelli che potremmo chiamare oggi atti di vandalismo, furono composte in una forma semplificata del carattere più in voga al momento.
L’apparente banalizzazione delle lettere traiane viene oggi giustificata dalla rapidità necessaria all’esecuzione delle suddette incisioni, effettuate in momenti di distrazione dell’ignaro ristoratore. Di particolare interesse storico il contenuto delle stesse: si passa da fermi rimproveri alla qualità del vino servito nella locanda sino a goliardie inerenti i costumi notturni della moglie dell’oste. Straordinario reperto di cultura ed estetica popolare, il Brixia rivive oggi in un’edizione digitale che per sua natura ben si adatta a titolazioni, logotipi ed altre prelibatezze grafiche.

Font: le top 10 per il 2007


Le dieci migliori font del 2007, secondo l'autorità di FontFont.



• Segnalo in particolare la prima della lista, Ars Maquette: si tratta di un bell'alfabeto neo-grotesque, per tanto un parente stretto dell'Helvetica, che però presenta forme e libertà che derivano dal lettering architettonico.
Per questo si ricollega al mio Prestinée Sans.



• Senz'altro bello e ben disegnato mi sembra anche il nuovo Meta Serif, prodotto destinato a un grande successo di marketing…



• Luc(as) de Groot, celebre per l'immenso carattere Thesis, è nominato qui, per il suo Taz III. Anche per questo font offre 15 pesi diversi (compreso un super-super fine) e una bella e fresca espressività.

Free Vectorial Flag



Le bandiere dei paesi del mondo in vettoriale?
Io le ho trovate ben disegnate e "free" su vectorportal. Sul portale sono raccolte anche altre risorse come simboli, segnaletiche e clip art.
Per oggi temo sia tutto!

Come presentarsi!


Swissmiss, alias Tina Roth Eisenberg, mi regala l'ennesimo nuovo spunto di ammirazione! Questa volta non attraverso una segnalazione del suo magnifico blog, ma grazie ad un lavoro da lei stessa diretto. Si tratta di un portfolio di un reporter svizzero, Peter Hossli, che tra i vari clienti annovera anche La Repubblica e che ha deciso di utilizzare la rete come mezzo di auto-promozione. Il sito in questione è una via di mezzo tra un blog e un portfolio e mi ha colpito molto per la chiarezza di navigazione, l'ordine visuale e la sobrietà delle pagine. Certo è un sito con contenuti semplici e dalla struttura elementare ma già alla prima visita ti sembra di conoscerlo da sempre!

Tra l'altro questo Peter Hossli è una bella penna.... (ci sono articoli anche in italiano)

Bar Code Revolution


Quello che potrebbe essere un semplice gioco stilistico, una divertente esercitazione universitaria , in realtà scopro essere un'attività imprenditoriale capace anche di ottere premi internazionali. Sto parlando di Bar Code Revolution, la rivoluzione dei codici a barre, cioè di un gruppo di ragazzi giapponesi che hanno iniziato a riprogettare e a dare un valore aggiunto a quelle strane combinazioni di linee che si trovano su tanti prodotti commerciali. L'idea di partenza è divertente ed effetivamente colma un "vuoto progettuale". I risultati ottenuti alla lunga sono un po' stucchevoli...

Una Monotype alla Tipoteca


Sul sito dell Tipoteca, probabilmente il più bel museo italiano dedicato alla tipografia e alla stampa, ho notato un filmato, piuttosto lungo e dettagliato, sul funzionamento della famosa macchina da stampa Monotype.

Il filmato è visibile direttamente dall'homepage. È collocato in una posizione (clicckate sull'icona in alto a sinistra) un po' stramba…

Just another…


Solamente un altro generatore di testi
Però ben fatto e ricco di opzioni personalizzabili: la lingua, la lunghezza delle parole, la frequenza di sillabazione ecc. Insomma una valida alternativa al più classico Lipsum.

Lorem ipsum dolor sit amet…

Sottsass: Un granfinale

foto: © J. Emilio Flores/Corbis

Grazie a Word-ing avevo già scoperto qualche passaggio di questa bell'intervista a Sottsass ma mi sono accorto che tutto il dialogo con Enrico Regazzoni (pubblicato su Repubblica) merita un'attenta lettura.

In particolare trovo interessanti 3 punti:
1) quello in cui Sottsass rivela l'ammirazione per alcuni grandi maestri razionalisti ma allo stesso tempo ammette di aver ricercato qualcosa di più, qualcosa che andasse ancora oltre alle loro teorie.
2) la secca battuta sull'architettura di oggi, un'architettura d'immagine, carica di tecnologia
e ansiosa di stupire
3) il botto finale, con quella stupenda descrizione della bellezza vista come qualcosa che non ti lascia scampo.

Beh, buona lettura!

MILANO - Ettore Sottsass, o della facilità. A incontrarlo nella sua casa milanese, a sentirlo parlare con la calma e la semplicità che lo hanno fatto amare non meno delle sue opere, a vedere con quale garbo respinge gli acciacchi dei suoi novant'anni (è nato a Innsbruck nel 1917), sembra che sia facilissimo diventare un architetto di riferimento per tante generazioni, riempire il mondo di oggetti colorati, attraversare la lunga vita restituendo felicità.

Ora una grande mostra lo festeggia a Trieste (ideata e curata da Alessio Bozzer, Beatrice Mascellani e Marco Minuz, apre oggi al Salone degli Incanti dell'ex Pescheria, catalogo Electa).

Centotrenta opere organizzate in sette aree tematiche, dall'architettura al design, alla fotografia, al gioiello, al disegno, e un titolo che fa da stemma all'appassionata curiosità che ha sempre spinto il lavoro di Sottsass: "Vorrei sapere perché".

Lui minimizza, quasi si parlasse di un altro. E se lo si interroga sul segreto di tanta facilità, taglia corto: "Ho un buon carattere. E, senza presunzione, sono coraggioso".

Ragionando d'architettura, lei chiama spesso in causa i sentimenti. E' sempre stato così forte il carico emotivo del suo lavoro o è cresciuto con gli anni?
"Tutto è iniziato dopo la guerra, è allora che ho cominciato a reagire alla razionalità del moderno. La speranza chi ci fosse una verità da qualche parte ha fatto crescere il valore dei sensi, anche perché da giovane ho vissuto una vita molto sensoriale nei boschi, qualcosa di diverso da ciò che insegnavano i grandi maestri, Le Corbusier e compagni. Amavo moltissimo questi maestri, ma ciò che dicevano non mi bastava".

Quando accenna a questa sensorialità, emerge sempre la figura di suo padre.
"Mio padre era un architetto del genio civile, in Trentino, e si occupava della ricostruzione dei paesi distrutti dalla Prima guerra mondiale. Così da bambino avevo a che fare con mattoni e pietre, con le cose più che con la geometria e le misure. La mia vita correva parallela a quella dei maestri del razionalismo, ma su un altro binario. Leggevo tantissimo, inseguivo la commozione, cercavo un rapporto fra l'architettura e la vita, perché penso che l'architettura sia il disegno di un luogo da abitare, e non da guardare, come la gran parte delle architetture che si fanno adesso".

Ecco, a lei che ha professato una specie di intimismo, e che ha spezzato ogni grande progetto in cento piccoli progetti, che effetto fa l'attuale architettura d' immagine, carica di tecnologia e ansiosa di stupire?
"Nessun effetto. Vedo le cose di Fuksas per la Fiera di Milano ed è come se guardassi un turacciolo. Sono abituato diversamente".

Accennava alla lettura. Cosa leggeva?
"I russi, da Puskin a Turgenev. Romanzieri della vita, non del romanzo. In seguito mi hanno molto influenzato gli scrittori della beat generation: Corso, Kerouac e soprattutto Ginsberg. Quando mi sono imbattuto in Howl, di Ginsberg, ho sentito che quella non era poesia della poesia, ma poesia della vita. Non so dirlo meglio di così".

Oggi il razionalismo le appare come un dio che ha fallito?
"Fallito no di certo, perché ci ha lasciato tracce profonde di idee. Quello che penso è che non basta. Il razionalismo sperava di andare avanti a misure. Ora, questo tavolo che sto toccando ha senz'altro una misura. Ma soprattutto ha un materiale, una temperatura, un peso: è una cosa, insomma, non una misura. Lo stesso Mies, nel suo padiglione per l'Expo di Barcellona, ha fatto una meravigliosa architettura di linee, superfici, distanze. Ma poi ci ha messo una vasca di acqua ferma. E ci sono poche cose più sensoriali dell'acqua ferma, piena di vermicelli. Al fondo della vasca, poi, c' è la scultura di una donna nuda. E il razionalismo che fine fa? L'acqua è imprendibile, mentre il razionalismo voleva essere prendibile. E la donna nuda non è misurabile".

Che effetto le fa la parola postmoderno?
"Non è quello che si pensa. E' un tentativo americano di trovare una zona autoctona nella loro architettura. Di darsi una storia. Loro erano molto interessati alle farm, tipo Shaker, e il libro che lanciò questo termine si intitolava Learning from Las Vegas, come dire: abbiamo anche noi qualcosa da insegnare. E riguardava tutta questa parte dell'architettura, fino alla presenza dei modelli palladiani nell'architettura governativa americana".

Perché i suoi oggetti hanno sempre una base?
"Per mettere gli oggetti in un loro spazio, che non avrebbero se fossero appoggiati per terra. Se li alzi, si separano dallo spazio, si affermano. Ma la base non l'ho inventata io, basta pensare alle sculture greche, o a quelle romane".

E la funzione dell'oggetto? Lei ha sempre sostenuto che il suo funzionalismo è nella speranza, affidata all'oggetto, che trovi una sua funzione.
"Lo dico ancora adesso. Un'automobile posteggiata è un oggetto spaventoso, ci vuole uno che la faccia andare. Vale per tutti gli oggetti. Ai tempi di Memphis tutti mi dicevano: questo scaffale è obliquo, manca la funzionalità. Ma lo scaffale non ha funzionalità, è chi lo usa che deve trovarla. Con i fiori siamo sempre nei guai, i vasi sono troppo piccoli o troppo corti. Ma non è colpa dei vasi. Tra l'altro, c' è ancora l'abitudine settecentesca di mandare troppi fiori. Basta un fiore per muovere l'aria".

Dice anche di non essere religioso, ma interessato al problema della sacralità. Un progetto può accollarsi il peso del sacro?
"Il concetto di sacro è indecifrabile. La sensazione del sacro l'ho avuta particolarmente in India, con certi templi di pietra nera. Ma il sacro non riguarda tanto gli oggetti, quanto la vita umana. Anzi, le vite. Guardi questa foto del tempio di Keshava a Somnathpur. Intanto è su una base, poi ha diversi momenti, alcuni più pubblici, altri più nascosti. Si resta a bocca aperta".

C'è qualche suo oggetto che le sembra lontano? Che so, molti collegano il suo nome alla portatile Valentina...
"Lo so, ed è un abbinamento del quale sono stufo. Ma non c' è un oggetto che rifiuti. Tutti hanno avuto un loro momento, ogni materiale ha vissuto la sua stagione: il legno, la ceramica, i vetri. Sono anche occasioni. Le ceramiche, per esempio, le ho fatte in un momento in cui non avevo una lira. Ultimamente mi sono divertito a fare dei vetri: materiale strano, trasparente, è uno spettacolo quando esce. Mi è venuta una passione per la fragilità. E non solo fisica, anche progettuale".

E i colori? Anche i suoi colori hanno avuto un loro percorso, negli anni.
"Certamente. Da ragazzo, inevitabilmente mi interessavano i colori puri. Freschi, allegri. Poi ho cominciato a mescolarli, a cercarne di più sofisticati. Come accade con le parole: quando invecchi le cerchi più giuste, anche se meno immediate".

Non si sente in colpa, per non avere mai insegnato?
"Non c' è niente da insegnare. Si possono avere allievi a bottega, e dare grandi sberle. Il mio grande maestro è stato un pittore, Spazzapan. Non mi spiegava mai qualcosa, faceva discorsi circolari: per cui, se avevo voglia e se ero capace, imparavo. I veri maestri ti danno dei perimetri. Poi sei tu che devi muoverti, lì dentro".

Recentemente ha detto che in giro vede molti edifici e poche architetture. Può fare il nome di qualche architetto?
"Io distinguo fra edilizia e architettura. In una città come Milano ci sono moltissime case costruite per edilizia, cioè su basi standard. Qualche nome di architetto? Aldo Rossi, Gardella, Muzio, mio professore e costruttore nel senso più alto del termine".

Radici viennesi e viaggi. Cosa ha contato di più, nella sua storia?
"Hanno contato entrambi, e molto. I viaggi, in particolare, dovrebbero servire a uscire dalla condizione scolastica, qualunque essa sia. Alla fine sommi le esperienze, le visioni, le emozioni, e diventi tu. Con Barbara una volta in Thailandia ci fermammo sulle rive di un grande fiume. Il caldo era atroce, e avevamo fame. Ci portarono un samovar bollente, con pesce lesso e piccante, e una specie di liquore, anch' esso caldo. Sulla riva i bambini giocavano e le donne si lavavano. Allora, forse drogato dal calore, forse ubriaco, dissi alla mia compagna: ora mi ammazzo. Lei fu sorpresa, e mi domandò perché. Perché non sarò mai più felice come adesso, risposi".

Un'ultima cosa: perché sostiene di non avere un'idea di bellezza?
"Perché so soltanto che la bellezza è una convenzione: fra noi due, fra nazioni, fra periodi storici. Ci si mette d' accordo su cosa è bello, di nascosto. Se dipingi una madonna con bambino, bene o male sei nella zona della bellezza. Ma bisogna anche dire che nella prima sala degli Uffizi ti metti a piangere davvero. Non so se sia per la bellezza o per il sacro. So solo che non puoi sottrarti". In definitiva, si sente capito o solo venduto? "Mah, io ho molti amici. Voglio dire che non c'è da capire, ma da amare".

(2 gennaio 2008)