Noooo ma che figata!



Mettete assieme qualche stringa di codice java e ajax, un plug-in per wordpress, un piccolo programmino per mac (e anche per win), un ottimo visualizzatore per contenitori di foto come Flickr, Picasa, Facebook ecc.. e avrete Piclens, un piccolo gioiello. E il bello che è tutto gratis! Stamattina l'ho installato come add-ons per Firefox e sono rimasto a bocca aperta sfogliando la mia libreria di flickr ad una velocità e con una facilità di navigazione stupende.
Da non perdere!!!!

Qui sotto la demo. Se poi volete inaugurarlo surfando nella mia libreria di foto, clicca qui.

Brixia: il bello dell'ironia

È caratteristica di tanti maestri del design e della grafica, quella di non essersi mai voluti prendere troppo sul serio…
Munari, Magistretti, Sottsass e tanti altri, hanno sempre trattato i loro progetti non come opere d'intelletto innavicinabili, ma come utili e fantasiose scoperte del vivere e del progettare.
Per questo motivo trovo doveroso mettere in evidenza, tra i tanti caratteri in mostra su Progetto Italic 2.0, il Brixia, bel carattere di Stefano Temporin, ancora in fase di ultimazione, ma che già regala delle belle sensazioni.



E poi la descrizione che ne fa l'autore è troppo divertente!

Il carattere Brixia nasce dopo un attento studio paleografico di alcune incisioni romane, ritrovate sui tavolacci delle osterie bresciane. Antenate di quelli che potremmo chiamare oggi atti di vandalismo, furono composte in una forma semplificata del carattere più in voga al momento.
L’apparente banalizzazione delle lettere traiane viene oggi giustificata dalla rapidità necessaria all’esecuzione delle suddette incisioni, effettuate in momenti di distrazione dell’ignaro ristoratore. Di particolare interesse storico il contenuto delle stesse: si passa da fermi rimproveri alla qualità del vino servito nella locanda sino a goliardie inerenti i costumi notturni della moglie dell’oste. Straordinario reperto di cultura ed estetica popolare, il Brixia rivive oggi in un’edizione digitale che per sua natura ben si adatta a titolazioni, logotipi ed altre prelibatezze grafiche.

Font: le top 10 per il 2007


Le dieci migliori font del 2007, secondo l'autorità di FontFont.



• Segnalo in particolare la prima della lista, Ars Maquette: si tratta di un bell'alfabeto neo-grotesque, per tanto un parente stretto dell'Helvetica, che però presenta forme e libertà che derivano dal lettering architettonico.
Per questo si ricollega al mio Prestinée Sans.



• Senz'altro bello e ben disegnato mi sembra anche il nuovo Meta Serif, prodotto destinato a un grande successo di marketing…



• Luc(as) de Groot, celebre per l'immenso carattere Thesis, è nominato qui, per il suo Taz III. Anche per questo font offre 15 pesi diversi (compreso un super-super fine) e una bella e fresca espressività.

Free Vectorial Flag



Le bandiere dei paesi del mondo in vettoriale?
Io le ho trovate ben disegnate e "free" su vectorportal. Sul portale sono raccolte anche altre risorse come simboli, segnaletiche e clip art.
Per oggi temo sia tutto!

Come presentarsi!


Swissmiss, alias Tina Roth Eisenberg, mi regala l'ennesimo nuovo spunto di ammirazione! Questa volta non attraverso una segnalazione del suo magnifico blog, ma grazie ad un lavoro da lei stessa diretto. Si tratta di un portfolio di un reporter svizzero, Peter Hossli, che tra i vari clienti annovera anche La Repubblica e che ha deciso di utilizzare la rete come mezzo di auto-promozione. Il sito in questione è una via di mezzo tra un blog e un portfolio e mi ha colpito molto per la chiarezza di navigazione, l'ordine visuale e la sobrietà delle pagine. Certo è un sito con contenuti semplici e dalla struttura elementare ma già alla prima visita ti sembra di conoscerlo da sempre!

Tra l'altro questo Peter Hossli è una bella penna.... (ci sono articoli anche in italiano)

Bar Code Revolution


Quello che potrebbe essere un semplice gioco stilistico, una divertente esercitazione universitaria , in realtà scopro essere un'attività imprenditoriale capace anche di ottere premi internazionali. Sto parlando di Bar Code Revolution, la rivoluzione dei codici a barre, cioè di un gruppo di ragazzi giapponesi che hanno iniziato a riprogettare e a dare un valore aggiunto a quelle strane combinazioni di linee che si trovano su tanti prodotti commerciali. L'idea di partenza è divertente ed effetivamente colma un "vuoto progettuale". I risultati ottenuti alla lunga sono un po' stucchevoli...

Una Monotype alla Tipoteca


Sul sito dell Tipoteca, probabilmente il più bel museo italiano dedicato alla tipografia e alla stampa, ho notato un filmato, piuttosto lungo e dettagliato, sul funzionamento della famosa macchina da stampa Monotype.

Il filmato è visibile direttamente dall'homepage. È collocato in una posizione (clicckate sull'icona in alto a sinistra) un po' stramba…

Just another…


Solamente un altro generatore di testi
Però ben fatto e ricco di opzioni personalizzabili: la lingua, la lunghezza delle parole, la frequenza di sillabazione ecc. Insomma una valida alternativa al più classico Lipsum.

Lorem ipsum dolor sit amet…

Sottsass: Un granfinale

foto: © J. Emilio Flores/Corbis

Grazie a Word-ing avevo già scoperto qualche passaggio di questa bell'intervista a Sottsass ma mi sono accorto che tutto il dialogo con Enrico Regazzoni (pubblicato su Repubblica) merita un'attenta lettura.

In particolare trovo interessanti 3 punti:
1) quello in cui Sottsass rivela l'ammirazione per alcuni grandi maestri razionalisti ma allo stesso tempo ammette di aver ricercato qualcosa di più, qualcosa che andasse ancora oltre alle loro teorie.
2) la secca battuta sull'architettura di oggi, un'architettura d'immagine, carica di tecnologia
e ansiosa di stupire
3) il botto finale, con quella stupenda descrizione della bellezza vista come qualcosa che non ti lascia scampo.

Beh, buona lettura!

MILANO - Ettore Sottsass, o della facilità. A incontrarlo nella sua casa milanese, a sentirlo parlare con la calma e la semplicità che lo hanno fatto amare non meno delle sue opere, a vedere con quale garbo respinge gli acciacchi dei suoi novant'anni (è nato a Innsbruck nel 1917), sembra che sia facilissimo diventare un architetto di riferimento per tante generazioni, riempire il mondo di oggetti colorati, attraversare la lunga vita restituendo felicità.

Ora una grande mostra lo festeggia a Trieste (ideata e curata da Alessio Bozzer, Beatrice Mascellani e Marco Minuz, apre oggi al Salone degli Incanti dell'ex Pescheria, catalogo Electa).

Centotrenta opere organizzate in sette aree tematiche, dall'architettura al design, alla fotografia, al gioiello, al disegno, e un titolo che fa da stemma all'appassionata curiosità che ha sempre spinto il lavoro di Sottsass: "Vorrei sapere perché".

Lui minimizza, quasi si parlasse di un altro. E se lo si interroga sul segreto di tanta facilità, taglia corto: "Ho un buon carattere. E, senza presunzione, sono coraggioso".

Ragionando d'architettura, lei chiama spesso in causa i sentimenti. E' sempre stato così forte il carico emotivo del suo lavoro o è cresciuto con gli anni?
"Tutto è iniziato dopo la guerra, è allora che ho cominciato a reagire alla razionalità del moderno. La speranza chi ci fosse una verità da qualche parte ha fatto crescere il valore dei sensi, anche perché da giovane ho vissuto una vita molto sensoriale nei boschi, qualcosa di diverso da ciò che insegnavano i grandi maestri, Le Corbusier e compagni. Amavo moltissimo questi maestri, ma ciò che dicevano non mi bastava".

Quando accenna a questa sensorialità, emerge sempre la figura di suo padre.
"Mio padre era un architetto del genio civile, in Trentino, e si occupava della ricostruzione dei paesi distrutti dalla Prima guerra mondiale. Così da bambino avevo a che fare con mattoni e pietre, con le cose più che con la geometria e le misure. La mia vita correva parallela a quella dei maestri del razionalismo, ma su un altro binario. Leggevo tantissimo, inseguivo la commozione, cercavo un rapporto fra l'architettura e la vita, perché penso che l'architettura sia il disegno di un luogo da abitare, e non da guardare, come la gran parte delle architetture che si fanno adesso".

Ecco, a lei che ha professato una specie di intimismo, e che ha spezzato ogni grande progetto in cento piccoli progetti, che effetto fa l'attuale architettura d' immagine, carica di tecnologia e ansiosa di stupire?
"Nessun effetto. Vedo le cose di Fuksas per la Fiera di Milano ed è come se guardassi un turacciolo. Sono abituato diversamente".

Accennava alla lettura. Cosa leggeva?
"I russi, da Puskin a Turgenev. Romanzieri della vita, non del romanzo. In seguito mi hanno molto influenzato gli scrittori della beat generation: Corso, Kerouac e soprattutto Ginsberg. Quando mi sono imbattuto in Howl, di Ginsberg, ho sentito che quella non era poesia della poesia, ma poesia della vita. Non so dirlo meglio di così".

Oggi il razionalismo le appare come un dio che ha fallito?
"Fallito no di certo, perché ci ha lasciato tracce profonde di idee. Quello che penso è che non basta. Il razionalismo sperava di andare avanti a misure. Ora, questo tavolo che sto toccando ha senz'altro una misura. Ma soprattutto ha un materiale, una temperatura, un peso: è una cosa, insomma, non una misura. Lo stesso Mies, nel suo padiglione per l'Expo di Barcellona, ha fatto una meravigliosa architettura di linee, superfici, distanze. Ma poi ci ha messo una vasca di acqua ferma. E ci sono poche cose più sensoriali dell'acqua ferma, piena di vermicelli. Al fondo della vasca, poi, c' è la scultura di una donna nuda. E il razionalismo che fine fa? L'acqua è imprendibile, mentre il razionalismo voleva essere prendibile. E la donna nuda non è misurabile".

Che effetto le fa la parola postmoderno?
"Non è quello che si pensa. E' un tentativo americano di trovare una zona autoctona nella loro architettura. Di darsi una storia. Loro erano molto interessati alle farm, tipo Shaker, e il libro che lanciò questo termine si intitolava Learning from Las Vegas, come dire: abbiamo anche noi qualcosa da insegnare. E riguardava tutta questa parte dell'architettura, fino alla presenza dei modelli palladiani nell'architettura governativa americana".

Perché i suoi oggetti hanno sempre una base?
"Per mettere gli oggetti in un loro spazio, che non avrebbero se fossero appoggiati per terra. Se li alzi, si separano dallo spazio, si affermano. Ma la base non l'ho inventata io, basta pensare alle sculture greche, o a quelle romane".

E la funzione dell'oggetto? Lei ha sempre sostenuto che il suo funzionalismo è nella speranza, affidata all'oggetto, che trovi una sua funzione.
"Lo dico ancora adesso. Un'automobile posteggiata è un oggetto spaventoso, ci vuole uno che la faccia andare. Vale per tutti gli oggetti. Ai tempi di Memphis tutti mi dicevano: questo scaffale è obliquo, manca la funzionalità. Ma lo scaffale non ha funzionalità, è chi lo usa che deve trovarla. Con i fiori siamo sempre nei guai, i vasi sono troppo piccoli o troppo corti. Ma non è colpa dei vasi. Tra l'altro, c' è ancora l'abitudine settecentesca di mandare troppi fiori. Basta un fiore per muovere l'aria".

Dice anche di non essere religioso, ma interessato al problema della sacralità. Un progetto può accollarsi il peso del sacro?
"Il concetto di sacro è indecifrabile. La sensazione del sacro l'ho avuta particolarmente in India, con certi templi di pietra nera. Ma il sacro non riguarda tanto gli oggetti, quanto la vita umana. Anzi, le vite. Guardi questa foto del tempio di Keshava a Somnathpur. Intanto è su una base, poi ha diversi momenti, alcuni più pubblici, altri più nascosti. Si resta a bocca aperta".

C'è qualche suo oggetto che le sembra lontano? Che so, molti collegano il suo nome alla portatile Valentina...
"Lo so, ed è un abbinamento del quale sono stufo. Ma non c' è un oggetto che rifiuti. Tutti hanno avuto un loro momento, ogni materiale ha vissuto la sua stagione: il legno, la ceramica, i vetri. Sono anche occasioni. Le ceramiche, per esempio, le ho fatte in un momento in cui non avevo una lira. Ultimamente mi sono divertito a fare dei vetri: materiale strano, trasparente, è uno spettacolo quando esce. Mi è venuta una passione per la fragilità. E non solo fisica, anche progettuale".

E i colori? Anche i suoi colori hanno avuto un loro percorso, negli anni.
"Certamente. Da ragazzo, inevitabilmente mi interessavano i colori puri. Freschi, allegri. Poi ho cominciato a mescolarli, a cercarne di più sofisticati. Come accade con le parole: quando invecchi le cerchi più giuste, anche se meno immediate".

Non si sente in colpa, per non avere mai insegnato?
"Non c' è niente da insegnare. Si possono avere allievi a bottega, e dare grandi sberle. Il mio grande maestro è stato un pittore, Spazzapan. Non mi spiegava mai qualcosa, faceva discorsi circolari: per cui, se avevo voglia e se ero capace, imparavo. I veri maestri ti danno dei perimetri. Poi sei tu che devi muoverti, lì dentro".

Recentemente ha detto che in giro vede molti edifici e poche architetture. Può fare il nome di qualche architetto?
"Io distinguo fra edilizia e architettura. In una città come Milano ci sono moltissime case costruite per edilizia, cioè su basi standard. Qualche nome di architetto? Aldo Rossi, Gardella, Muzio, mio professore e costruttore nel senso più alto del termine".

Radici viennesi e viaggi. Cosa ha contato di più, nella sua storia?
"Hanno contato entrambi, e molto. I viaggi, in particolare, dovrebbero servire a uscire dalla condizione scolastica, qualunque essa sia. Alla fine sommi le esperienze, le visioni, le emozioni, e diventi tu. Con Barbara una volta in Thailandia ci fermammo sulle rive di un grande fiume. Il caldo era atroce, e avevamo fame. Ci portarono un samovar bollente, con pesce lesso e piccante, e una specie di liquore, anch' esso caldo. Sulla riva i bambini giocavano e le donne si lavavano. Allora, forse drogato dal calore, forse ubriaco, dissi alla mia compagna: ora mi ammazzo. Lei fu sorpresa, e mi domandò perché. Perché non sarò mai più felice come adesso, risposi".

Un'ultima cosa: perché sostiene di non avere un'idea di bellezza?
"Perché so soltanto che la bellezza è una convenzione: fra noi due, fra nazioni, fra periodi storici. Ci si mette d' accordo su cosa è bello, di nascosto. Se dipingi una madonna con bambino, bene o male sei nella zona della bellezza. Ma bisogna anche dire che nella prima sala degli Uffizi ti metti a piangere davvero. Non so se sia per la bellezza o per il sacro. So solo che non puoi sottrarti". In definitiva, si sente capito o solo venduto? "Mah, io ho molti amici. Voglio dire che non c'è da capire, ma da amare".

(2 gennaio 2008)

da designer a re-designer


Tra i buoni propositi per il nuovo anno c'è sicuramente quello di ridare un po' di vita a Typomilan.
Inizio mettendo in vetrina un progetto di tesi di un mio vecchio amico nonché compagno di studi per molti anni al Politecnico.
Il progetto in questione è denominato Re-designer e l'autore è Francesco Franchi.
È un'analisi sul mondo dei quotidiani, le attuali strategie, i possibili scenari e il ruolo che un designer o un progettista possono avere nel mondo della carta stampata di oggi.
Per ora è disponibile una bella galleria su Flickr ma a breve credo prenderà vita il sito www.re-designer.org.

Questo è il breve abstract scritto dall'autore:

Nella società contemporanea il quotidiano non è più solamente un giornale che viene pubblicato ogni giorno. La sua definizione si è estesa e non si dovrebbe attualmente parlare di quotidiani, ma di brand mediatici che confezionano e distribuiscono storie multicanale: dal momento in cui la notizia accade fino all'uscita del quotidiano, il giorno seguente. I lettori sanno che quando acquistano il quotidiano le notizie sono già vecchie e, per questo motivo, cercano contestualizzazione, approfondimento e chiedono una selezione. Essere un newspaper designer significava, fino a pochi anni fa, occuparsi esclusivamente dei layout delle pagine e delle fonti tipografiche; oggi significa invece ripensare all'intero processo.



Scopo di questa tesi è riflettere sulla trasformazione in corso, cercando di valutarne le criticità, ma anche le opportunità. Essa vuole proporre il passaggio dal redesign al RE-Designer, un nuovo paradigma progettuale ed una nuova epistemologia della pratica professionale del designer. La proposta si fonda sulla considerazione che l’immediata reazione, impulsiva e superficiale, della maggior parte dei quotidiani, nostrani ed esteri, è stata una corsa a rifarsi il trucco — dimagrendo per abbattere i costi della carta e sfoggiando il full color per cercare di piacere agli inserzionisti e a un numero maggiore di lettori — senza un’approfondita e precedente riflessione sulle ragioni di quanto sta accadendo. Si avanza l’ipotesi che in contesti progettuali favorevoli, il progettista possa acquistare un ruolo rilevante grazie alle sue caratteristiche di multidisciplinarità, empatia e creatività, caratteristiche che sono funzionali allo sviluppo della capacità di comprendere la realtà-società-complessità e finalizzate alla riuscita di un buon progetto di redesign; inteso non come ri-disegno, ma come ri-progetto e ri-pensamento. Questa tesi vuole sottolineare l’importanza del modus operandi del designer e la sua integrazione, nel processo decisionale prima e nel gruppo di lavoro poi, al fine di creare un prodotto editoriale di successo, laddove l’innovazione — al di là della distribuzione, della forma e del contenuto — sta in un flusso produttivo ottimizzato, in cui pianificazione, creatività e lavoro di gruppo sono il fulcro del processo di confezionamento dell'informazione.

buon anno


i migliori auguri per un 2008 sereno e ricco di semplicità…

(tratto da A Betu di Szanto Tibor. Budapest: Akademiai Kiado, 1969)